La storia di Kurt Wörner

Kurt Wörner Pfund arrivò in Bolivia nel 1929 con un contratto con Junkers Aircraft per costruire aerei, ripararli e insegnare come pilotarli. Bolivia aveva appena ricevuto il primo aereo della sua storia, dono della colonia tedesca: un aereo Junkers con motore BMW di 185 HP. Questo aereo sarebbe diventato il primo di una flotta che cambiò il volto del paese andino. Kurt Wörner era arrivato con una valigia di attrezzi e un'altra di vestiti, e nient’altro. Era arrivato per non tornare mai più.

I primi voli unirono l'est del paese con i centri popolati delle grandi città coloniali con un servizio di trasporto passeggeri e ufficio postale. I viaggi, che prima impiegavano 15 giorni per strade spesso adatte solo per essere percorse su cavalli e asini, ora duravano solamente tre ore. Inoltre, questi voli permisero l'esplorazione aerea per progettare nuove strade per collegare le città di Cochabamba e Santa Cruz e per cercare nuove fonti d'acqua che potessero rifornire Cochabamba, che aveva (e ha ancora) seri problemi di siccità. 

Wörner iniziò a lavorare nella scuola di meccanica e pilotaggio della recentemente creata Lloyd Aéreo Boliviano, linea aerea di stato, stabilendo un canone di sicurezza e di qualità che sarebbe stato fondamentale nello sviluppo dell'aeronautica boliviana. Il suo compito era quello di riparare gli aerei, anche dopo gli incidenti, per metterli in condizione di volare, creando anche pezzi di ricambio che non si potevano trovare nel Paese; e insegnare meccanica e lezioni di pilotaggio al nuovo equipaggio boliviano.

Aveva una grande creatività nell'uso degli strumenti e nella trasformazione dei pezzi, cosa molto utile durante la guerra del Chaco, sostenuta tra la Bolivia e il Paraguay dal 1932 al 1935. La flotta boliviana era la più forte della regione, ed avevano vinto le battaglie aeree. Kurt Wörner non lavorava soltanto come meccanico, ma faceva anche trasporto di medicinali e di armi sul fronte di battaglia e tornava con feriti e malati che avevano bisogno di un'assistenza prioritaria.

Poco dopo scoppiò la seconda guerra mondiale. Nel 1941 il governo di Peñaranda accusò la comunità tedesca di voler fare un colpo di stato nazista. Con quell’argomentazione, i militari arrestarono i massimi dirigenti della Lloyd, diversi soldati boliviani e gran parte della comunità tedesca; e gli espulsero dal Paese. Tra i tedeschi espulsi c’erano Kurt Wörner e la sua famiglia, che dovettero rifugiarsi a Buenos Aires.

Una volta finita la Seconda Guerra Mondiale, lo Stato boliviano lo invitò a tornare alle sue funzioni, ma Kurt rifiutò. Secondo suo nipote, Mark, rispose dicendo che "da dove mi buttano, non torno mai".

Racconto questo perché ho letto poco fa Il nostro mondo morto, di Liliana Colanzi, e ho ricordato la storia di Kurt Wörner. Colanzi è un'abile artigiana di storie che partono da una realtà che si trasforma in tutt’altro. Sono storie che sembrano qualcosa tra il quotidiano e l’alieno, e che hanno nelle ultime righe una sorta di rivelazione, un'epifania di qualcosa di imminente che sta per accadere. Come una porta alla magia o all'orrore che è stata lasciata aperta e da cui si può, attraverso la crepa, vedere nel buio qualcosa che si muove.

La storia di Wörner potrebbe formare parte del mondo morto proposto da Colanzi, forse con una differenza: nella vita di Kurt l'esperienza di raggiungere un luogo nel mondo ancora da creare, magico e pieno di tenebre, era stato il tempo in cui viveva nella Bolivia; e dietro la porta non c'è un'epifania ma il rammarico.

Kurt (destra) posa vicino all'aereo Tunari assieme a un allievo. Foto cortesia di Mark Christie Wörner. 

Il libro Los aviones Junkers en Bolivia contiene la storia di Kurt Wörner. È stato pubblicato da suo nipote Mark Christie Wörner in autopubblicazione. Vi consiglio di contattarlo personalmente se volete un esemplare. Ha delle foto meravigliose e ha fatto un grande lavoro emerografico nel tentativo di recuperare la prima storia dell'aviazione boliviana. 

Il libro Il nostro mondo morto, di Liliana Colanzi, è stato pubblicato da Gran Vía e tradotto da Olga Alessandra Barbato

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata qui, nel mio blog in spagnolo.

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