Stravolgere le fiabe


Hänsel e Gretel erano i figli di un bracciante, un taglialegna che riusciva a malapena a sfamare la famiglia. Quest’uomo si era di recente risposato, e la matrigna, vedendo che non c’erano sufficienti risorse per tutti e quattro, lo convinse ad abbandonare i bambini nel bosco. Entrambi i figli sono intelligenti e creativi, e anche se sono stati capaci di ritornare a casa una prima volta, non riescono a tornare quando in effetti li lasciano nel bosco, per cui vagano cercando aiuto finché trovano una radura in cui c’è una piccola casa fatta di marzapane, caramelle e cioccolato, e, senza pensarci troppo, staccano dei pezzi e li mettono in bocca. In quel momento sono sorpresi da una vecchia, la proprietaria della casa, che li invita a entrare a mangiare. I bambini accettano e la vecchia prepara loro una cena spettacolare, con carne e frutta e tante cose che non avevano mai assaggiato prima. Poi, la donna li porta a dormire in letti morbidi e caldi. Quando si risvegliano però scoprono che la vecchia è una strega, che vuole mangiare Hänsel e far lavorare Gretel. Soltanto la loro astuzia permette loro di fuggire e di tornare a casa, dove scoprono che la matrigna è morta e il padre li riceve felice.

Sono sicura che tutti quanti abbiamo letto questa fiaba dei fratelli Grimm. Ci sono due messaggi chiari: uno, che la fame è terribile, per cui le persone possono trasformarsi diventando noncuranti o cattive; e l’altro, bisogna diffidare da chi è troppo gentile, perché esistono dei mostri. Questo secondo messaggio è terribile ma, in un certo senso, vero: ci sono delle reti di sfruttamento minorile vicino a chi è più debole, chi ha bisogno di aiuto, chi non ha pane e non sa come sfamare i propri figli (è il caso del mio Paese e di tanti altri del terzo mondo, ma anche il caso delle popolazioni a rischio, di migranti e braccianti, nei paesi sviluppati).

Il libro “I treni della felicità”, di Giovanni Rinaldi (Ediesse) racconta una storia però che stravolge la fiaba. Rinaldi accompagna il cineasta Alessandro Piva in una ricerca di storia orale sullo sciopero di San Severo in 1950. Nel suo libro racconta la storia dei braccianti che chiedevano pane e lavoro e che poi sono stati arrestati, in molti casi tutti e due i coniugi, per cui i figli sono rimasti senza nessuno che possa farsi carico di loro. Ci narra le storie di famiglie che si mettevano d’accordo per portare questi bambini al nord e dare loro una nuova opportunità, come si sono organizzate delle reti non di sfruttamento ma di salvezza per centinaia di famiglie a rischio.

L’approccio di questo saggio è narrare il making-of del documentario Pasta Nera, permettendoci di conoscere com’è stato fatto: come hanno contattato i personaggi, che storie ci sono dietro i nomi, come hanno vissuto la separazione dalla casa, il viaggio verso il nord, la paura dello sconosciuto, l’incontro con le nuove famiglie, il ritorno a casa e poi l’impatto di questa esperienza nella loro vita adulta. 

La bellezza di questo libro è la sua capacità di raccontare non solo la grande impresa solidale italiana, ma anche il suo contesto: i treni che partono carichi di bambini e speranza sono parte di un qualcosa di più grande, un paese che si riconosce e si rimette in piedi. Donne che si fanno carico della cura dei più fragili. Persone che dimostrano che è possibile la fiducia nell’altro e che non solo le fiabe hanno un finale felice.

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