Tre frammenti di "Bianco"

 


Non sento il passare del tempo. Forse non passa mai.
Continuo a sentirmi tirare i capelli, come quando mia madre mi faceva le trecce, per andare alla scuola delle suore irlandesi.
Mi voleva perfetta.
Continuo a sentire qualcosa di strano quando ricordo la festa del mio matrimonio. Il mio primo parto. I primi viaggi, le prime perdite, gli ultimi banchetti, le prime dimenticanze, l’angolo delle chiavi, i fiori del giardino, l’odore del pane, tutto, tutto è presente e disordinato.

Non sento il passare del tempo, solo la sua accumulazione,
come polvere sui mobili.

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Mi piaceva sgusciare i piselli. Mia madre li coltivava nel cortile della casa che prendemmo in affitto, quando ero ancora bambina.
Aprivo il ventre delle guaine verdi e tiravo fuori i semi rotondi. A volte mangiavo i grani più teneri e piccoli.
Conservo ancora il sapore dolce in bocca.

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Ieri sono venute a trovarmi un paio di giovani donne.
Mi hanno portato una scatola di fotografie.
Le abbiamo guardate una per una.
Molte sono con lo stesso uomo, un giovanotto in divisa militare.
Sono fotografie sfumate, grigie e marroni.



"Bianco" (di Cecilia De Marchi Moyano, pubblicato da Delmiglio Editore) è una miscela tra narrativa e poesia che racconta in prima persona la vita di una donna con Alzheimer.

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