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Tre frammenti di "Bianco"

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  Non sento il passare del tempo. Forse non passa mai. Continuo a sentirmi tirare i capelli, come quando mia madre mi faceva le trecce, per andare alla scuola delle suore irlandesi. Mi voleva perfetta. Continuo a sentire qualcosa di strano quando ricordo la festa del mio matrimonio. Il mio primo parto. I primi viaggi, le prime perdite, gli ultimi banchetti, le prime dimenticanze, l’angolo delle chiavi, i fiori del giardino, l’odore del pane, tutto, tutto è presente e disordinato. Non sento il passare del tempo, solo la sua accumulazione, come polvere sui mobili. # Mi piaceva sgusciare i piselli. Mia madre li coltivava nel cortile della casa che prendemmo in affitto, quando ero ancora bambina. Aprivo il ventre delle guaine verdi e tiravo fuori i semi rotondi. A volte mangiavo i grani più teneri e piccoli. Conservo ancora il sapore dolce in bocca. # Ieri sono venute a trovarmi un paio di giovani donne. Mi hanno portato una scatola di fotografie. Le abbiamo guardate una per una. Molte...

La stanza bianca di Cecilia

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  "Natura morta e strada" - Xilografia di M.C. Escher “El color es una mancha/entre el blanco y el negro/que no son colores” -Carlos Franck- Anche il big bang forse era bianco. Ogni paginetta di Bianco è un “compito per casa” dove ci sono azioni, movimenti e gesti quotidiani, ci sono gli umori, gli aromi e gli amori che la nostra fretta non sa più cogliere. C'è la pagina bianca dove il respiro, i dubbi e l’attesa rendono più vivibile la pagina scritta. Questo è il momento della poiesis . Nella stanza bianca di Cecilia entra tutto ed entrano tutti, c'è quasi tutto e ci sono quasi tutti. Ci sono la cucina, la scuola e l’ospedale, c'è il pane, la nostalgia e l’odore dell’aglio, una radio, una finestra e il tempo, ci sono la burocrazia ed il cielo, c'è la memoria. Una viola, l’aroma del caffè e il dolore. Nella stanza bianca di Cecilia ci sono i come , i quando e i perché ; come per gli inuit, il bianco di Cecilia non è uno solo ed ogni bianco ha la sua ragione e...

Prologo di Bianco, a cura di Claudio Cinti

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  Se “il verde non è un colore” – come afferma un impressionante titolo della letturatura boliviana contemporanea (Blanca Wiethüchter, El verde no es un color , La Paz 1992, 2004) – apparirà dunque lecito, in limine a quest’altro titolo impressionante proveniente dal medesimo spazio-tempo letterario, interrogarsi intorno a una questione analoga. È Bianco di Cecilia De Marchi Moyano ( Blanco , Cochabamba 2015) il fenomeno di un colore come tutti gli altri? È un elemento della sua strumentazione compositiva? È soltanto una “tavola” – come il testo sembra suggerire sin dalle prime righe – o è anche il risultato di un innesto prodottosi sulla “tavolozza” dell’autrice, che anticipa e predispone quel complesso atto pittografico che usiamo chiamare, per brevità, con il nome di scrittura? A questi interrogativi che interpellano colei che si propone di rispondere, pagina dopo pagina, con brevità certamente deliberata e programmatica, realizzando...