Una banda di idioti


Il mondo è degli idioti. Sul serio. Questo libro non ne è la prova, bensì un ritratto, un riflesso come quello offerto dagli specchi dei luna park: distorto, ma che mostra una realtà scomoda. Una banda di idioti, di John Kennedy Toole (edito da Marcos y Marcos e tradotto da Luciana Bianciardi) è un romanzo assurdo, complesso, acido, quasi dadaista, eccessivo e che crea reazioni intense nei lettori: o lo ami o lo detesti.

Ignatius J. Reilly, l'antieroe di questo romanzo, è una di quelle persone che non passano inosservate: un gigante con obesità morbida, baffoni enormi, un berretto verde da cacciatore con paraorecchie che a malapena coprono le orecchie, occhiali gialli e blu, una valvola che crea disagi e un susseguirsi di rutti e flatulenze, amante della cultura classica, lettore appassionato dell’opera di Boezio e che ha un senso estetico - ovviamente - superiore alla media e che sa - ovviamente - cosa sia meglio per tutti e ciascuno. O, come ha detto mia figlia quando ho letto alcuni brani ad alta voce, "è un coglione".

Il romanzo parte da un malinteso in cui si incrociano alcuni dei personaggi che poi saranno parte fondamentale di questo libro corale: la mamma di Ignatius, vedova e alcolizzata; un poliziotto in borghese (anche se sarebbe più adeguato dire che è in costume); un negro che lavora per spiccioli in un locale notturno; un vecchio che odia i comunisti; il proprietario di una fabbrica di pantaloni e una anarco-femminista che vuole fare la rivoluzione attraverso il sesso… tutti quanti creano una trama strana e surrealista dove si intrecciano alcuni dei conflitti che finora sono irrisolti.

Ignatius è un intellettuale. A casa sua scrive un saggio su tantissimi quaderni, la sua opus magnum, in cui parla sul ristagno culturale attuale (colpa di Mark Twain) e fa critica (spietata) dei film che guarda al cinema. Per questa serie di eventi, inaspettatamente, deve fare quello che sente come un oltraggio al suo ruolo di leader culturale: lavorare. Ma in ogni posto dove mette piedi fa un disastro, crea confusioni e provoca irritazione e sconforto.

Ignatius crede di essere più intelligente, più informato, più capace degli altri. E per dimostrarlo prova, per esempio, a creare un movimento politico tra i lavoratori della fabbrica di pantaloni, ma non perché si interessi veramente nelle persone, bensì perché vuole dimostrare la sua capacità di capire cos’è quello di cui gli altri hanno bisogno. Lo stesso succede quando si interessa ai diritti civili, diritti sessuali, eccetera, mentre è incapace di assumere le conseguenze delle sue azioni. È ipocrita e narcisista. Ma è anche una versione sarcastica dell’autore stesso e di chi, come lui, lavora nel campo intellettuale.

In fondo in fondo parte del lavoro accademico è avere una visione dei problemi umani e cercare soluzioni, molte volte adoperando il ruolo di spettatore. È facile pensare che questo ruolo significhi una certa forma di superiorità morale e intellettuale rispetto agli altri, ai lavoratori e alle persone comuni, diventando un idiota che cerca di comandare nel mondo degli idioti, una parodia di sé stesso, il riflesso distorto del luna park.

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