Tra zero e uno

 

Foto di Walid Ahmad da Pexels“

Di fronte al rischio bisogna rimanere sospesi, senza affanno”.

Mia figlia ed io abbiamo vissuto per circa un anno in una delle strade di La Cancha, uno dei mercati di strada più grandi dell'America Latina dove si può trovare di tutto: vestiti nuovi, elettrodomestici usati, frutta fresca e carne esposta al sole, cellulari rubati, pezzi di ricambio per aerei, lunghi corridoi di pantaloni, mutandine e valigie, piccoli carrelli dove si commerciano incensi, animali e oggetti in metallo; c’è perfino un negozio con il cartello: “si accettano soldi falsi”. Una amica mia, Pamela, diceva che se avevi bisogno di soldi potevi prendere qualsiasi cosa dalla tua casa e portarla al mercato: c’è sempre qualcuno disposto a comprare quello che offri...

Nel mio paese l’economia è fondamentalmente informale. Quasi nessuno ha un lavoro regolare. In pochi pagano le tasse. La corruzione non è un'eccezione; lo è, invece, non approfittare dell’occasione. La stessa “flessibilità” che permette di sopravvivere diventa una condanna: non permette né la crescita dell’economia né la sicurezza dei lavoratori. Anzi, lascia molto spazio per chi se ne vuole approfittare, degli altri e delle occasioni, creando una spirale di violenza e abuso.

E poi, e poi, le notizie ti bombardano: là si sta meglio. Là ci sono tantissimi ricchi. Là ci sono paesi quasi spopolati che cercano volontari che vadano a vivere e lavorare… E a un certo punto bisogna prendere delle decisioni: ci rimango, me ne vado? Accetto di non sapere cosa succederà l’indomani o cerco qualche uscita diversa? Io voglio lavorare, là cercano lavoratori, perché non provare ad andarmene via e cercare fortuna?

Nel mio caso ho ricevuto una piccola “spinta”: un problema di salute per il quale non c’era cura nel mio paese mi ha convinta che valeva la pena lasciare tutto il mio passato per cercare un possibile futuro qui, in questo lato del mondo. Ma ci sono tante possibili spinte: la guerra, la fame, la rabbia, la violenza, il desiderio di cercare un nuovo orizzonte… Lo spirito umano è uno spirito di viaggi e di viaggiatori.

Mi considero molto fortunata: ho un cognome italiano, una famiglia che mi aprì le porte della loro casa, la pelle chiara e i documenti giusti per iniziare una vita tutta italiana. E anche se non è facile cominciare la costruzione di un presente ai quarantaerotti anni, non è impossibile - se si ha la residenza. Ma gran parte delle persone che cercano di arrivare non hanno né pelle chiara, né casa, né biglietto d’aereo. E né il lunghissimo viaggio, né la morbida disperazione della sabbia, né la precarietà delle barche o la furia del mare, possono preparare il viaggiatore per quello che troverà se ha la fortuna di arrivare vivo in Italia. Perché mentre si viaggia almeno si ha la speranza.

“La barca era ferma, ma i morti che avevate buttato in acqua no.”

Copertina La parte del fuoco di Marco Rovelli


Un libro che riesce a fare un ritratto straordinario delle difficoltà che affronta un migrante in Italia è “La parte del fuoco” (Terrarossa). In questo romanzo, Marco Rovelli segue le storie di due persone disperate, Karim ed Elsa, un migrante e una italiana, che si vedono spinti a ferire il proprio corpo come forma di chiedere aiuto, perché le parole non bastano quando non c'è nessuno che ascolti.

Rovelli ricrea in modo magistrale le sfide di chi si trova a dover iniziare da zero in una terra dove ci si aspetta che tutti partano da uno e che rende invisibili quelli rimasti indietro.


“Un uomo va giudicato quando lo si mette in condizione umane.
Le vostre non lo sono”.

Bisogna ricordare questo: c’è un motivo per il quale ce ne andiamo via dai nostri paesi: c’è qualcosa che non va. Uno spirito autoritario, una visione limitata, un limite alla crescita, una popolazione più aggressiva, una cultura che si irrigidisce e che non accetta che i suoi sudditi possano cambiare casta, una visione troppo limitata dei ruoli e delle appartenenze tribali. Ma tutte queste cose non rimangono a casa, anche loro viaggiano sulle stesse barche e sugli stessi aerei.

So che non va tanto di moda dirlo, ma c’è un motivo per il quale in tanti vogliamo venire verso il “mondo occidentale”: anche se sappiamo che non è un mondo perfetto, che ci sono gravi problemi da affrontare, che ci sono disparità e ingiustizie, comunque io so che mia figlia ha più opportunità di vivere una vita degna qui che non nel mio paese di origine.

Ma quello non vuol dire che non ci siano mostri che si “nascondono” sotto il sole, bevendo un caffè al bar: i predatori esistono, possono avere ogni colore di pelle e ogni lingua, possono fare il presidente o la casalinga, ma diventano più forti e prendono il controllo quando manca la rete di contenzione della cultura e della legge.

Non mi piace idealizzare le persone, né gli italiani brava gente né i migranti nobili vittime. No: siamo tutti membri della stessa specie, capaci di creare meraviglie e di sbranare i deboli.

Il libro ha questi punti di forza: da un lato riesce a rendere evidente quanto diventa vulnerabile chi non viene riconosciuto come pari, e dall’altro mostra che ci sono dei predatori che approfitteranno di questi spazi vuoti per fagocitare le vite dei deboli. Mostra quello che succede tra zero e uno

“Quando si inizia a camminare poi non si può più smettere. A forza di camminare perdi le tracce di te e l’unica cosa che puoi fare per continuare ad avere tue notizie è camminare”.

“La parte del fuoco” non è un romanzo semplice: è invece un distillato di umanità, una densa provocazione dell’autore che ci porta assieme ai suoi personaggi in un processo di lenta ma inesorabile trasmutazione. Più che una storia, Rovelli ci fa vivere una specie di processo alchemico che rivela che l’essenza umana è una e la stessa, e che si rivela quando la vita ti obbliga ad essere nella parte del fuoco.

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