Il mestiere di barcaro

 



Ci sono dei mestieri che non esistono più: il barcaro, il cavalante, il calzolaio. Trovi delle persone che fanno questi lavori, ma la loro funzione sociale, economica, storica, è cambiata. Non sono più dei motori economici fondamentali, bensì una specie di folklore locale. Ciò si può vedere nella terraferma del Veneto, che storicamente si collegava attraverso i fiumi, veri e propri vasi circolatori di vitalità, lavoro, alimento e comunicazione. Adesso, invece, la circolazione si fa attraverso le arterie solide e grigie delle autostrade.

Nel libro Se l’acqua ride (Einaudi) di Paolo Malaguti conosciamo ben presto Caronte, maestro barcaro che fa da guida a suo nipote e morè Ganbeto - e anche a noi lettori - per capire il suo mestiere e il suo modo di vivere: “Noialtri giriamo el mondo, siamo foresti dapartutto, l’unica nostra casa l’è la barca. Chiaro bocia?”.

Ma il mondo è in continua trasformazione. Guardati intorno: quali mestieri non ci saranno più domani? Quali stelle scompariranno? Quali insetti non rivedremo? Quali amicizie, amori, visioni, realtà saranno soltanto come un fuoco d’artificio alla fine della sagra, il segno che la festa è finita, che questo giro di giostra sarà l’ultimo?

Attraverso le pagine di Se l’acqua ride possiamo osservare due finali: quello del mondo dei barcari, e, soprattutto, quello dell’infanzia di Ganbeto. Infatti, sono sicura che ci accorgiamo della fine del mondo, della sua friabilità quando iniziamo a prenderci le nostre responsabilità e a capire come funziona il mondo nel quale siamo immersi: quando cominciamo a diventare adulti.

Nel libro “Caronte iniziava a fargli stringere amicizia con il canale, perché un barcaro può conoscere il suo burcio fino all’ultimo chiodo e all’ultima asse, ma se non conosce come si comportano le acque su cui naviga, fa poca strada”. Ma non basta: una volta che abbiamo capito come funziona questo mestiere bisogna accettare che non durerà per sempre, che anche se conosci il fiume e la barca non puoi controllare la vita: il mondo è governato dal caso - e non dal controllo.

E anche Ganbeto lo sa: “Va bene, pensa, è normale: poi arriva l’estate di San Martino e le cose si sistemano secondo i soliti ritmi. Ma ormai sa che non è vero, le cose cambiano. Anche quelle che sembravano dover durare per sempre scompaiono, macinate via da novità che a loro volta dureranno il tempo che devono durare, e poi saranno spazzate”.

L’unica possibilità per i personaggi (e per noi stessi) è maturare. “Sulla Teresina, la corsa estate, si è sentito per la prima volta qualcosa, forse addirittura qualcuno. Se la vita adulta era quella, allora valeva davvero la pena crescere, e pure in fretta. Si tratta, a conti fatti, della libertà [...]”, l’unica libertà che abbiamo, di accettare che non scenderemo mai due volte nello stesso fiume, che possiamo soltanto prendere il timone per lasciarci trasportare dal flusso dell’acqua e navigare fino ad arrivare al mare.

In un certo senso noi lettori siamo come l’orchestra che suona sul Titanic mentre la nave affonda. Sappiamo perfettamente quale sarà la fine, non possiamo evitarla,  possiamo solo godere della bellezza delle stelle riflesse sull’acqua calma, seguendo la musica con ogni inalazione, prima che l’oceano si chiuda su di noi ingoiandoci.

A me, straniera e migrante, questo libro ha permesso di dare uno sguardo al passato e, forse, conoscere chi abita queste terre e ha vissuto i cambiamenti sulla propria pelle. Paolo Malaguti riesce a ricostruire questo mondo perso con precisione e poesia. Ma l’importante, alla fine, è ricordare quello che dice Ganbeto: “l’è una poesia mama! Bisogna mica capirla!”.

Commenti

Rene ha detto…
Bello! Mi ha piaciuto moltissimo. Complimenti.