Scarpe scomode

Ho provato più volte a scrivere una recensione sul libro Il treno dei bambini di Viola Ardone (Einaudi) e non trovo il modo di affrontarlo. 

Ho trovato bellissima la storia stessa, l’umanità di chi decide di aprirsi verso chi ha bisogno. È ammirevole il lavoro fatto dall’Unione delle Donne Italiane e dal Partito Comunista, ed è qualcosa che l’autrice ci tiene a sottolineare. È meravigliosa la storia di queste persone che hanno dato il meglio di sé e delle loro vite per aiutare chi ne aveva bisogno, accogliere i piccoli del sud creando reti di solidarietà e generosità. È qualcosa che dev’essere riconosciuto e ricordato. La storia di Amerigo, il personaggio principale, è commovente e molto ricca di dettagli, come per esempio quando si parla di scarpe e dell’angoscia di chi ha usato sempre scarpe troppo lunghe, troppo strette, troppo usate, che poteva funzionare anche come una metafora della sua vita.

Ma il libro come insieme non mi è piaciuto. Non mi ha convinto. Ecco perché:

Il narratore.
Capisco perché la scrittrice ha deciso di adottare il punto di vista del bambino, di Amerigo. Una voce che si propone di guidarci dalla propria prospettiva e renderci partecipi della propria esperienza e complici delle proprie decisioni. Ma scrivere dal punto di vista di un bambino è sempre difficile perché quella visione è limitata, per definizione. Allora non solo si deve lavorare su cosa dice ma anche, e soprattutto, su cosa non dice. Trovo che l’autrice abbia detto troppo: non lascia spazio per il silenzio. Credo che sarebbe stato meglio aggiungere una voce terza.

Il mondo in bianco o nero.
Trovo difficoltà ad apprezzare i libri che mi “dicono” chi è il buono e chi il cattivo con troppa chiarezza e nitidezza. Le persone sono complesse. Mi trovo a disagio quando in un libro il personaggio “cattivo” è sgradevole, brutto, ostinato e persino stonato, con tutti i denti putridi, mentre i personaggi buoni, almeno come li mostra all’inizio del libro, sono il contrario: belli e buoni, dolci, con i denti bianchi e perfetti e che persino cantano armoniosamente, come succede a pagina 31.
Capisco che, soprattutto adesso, alcuni commenti come quelli espressi dalle donne cattoliche contro i comunisti (mangiabambini o vifarannosapone) possano sembrare assurdi e ridicoli. Ma poco prima, nel periodo storico in cui è ambientato questo romanzo, erano stati scoperti dei campi di sterminio e si era saputo che c’era veramente chi si portava gente nel treno verso un destino ignoto che molte volte era la morte, il forno, una vita subumana, la fame e l’infamia; per cui posso capire che l’idea di far andare dei bambini da soli in treni verso il nord possa aver fatto quanto meno alzare le sopracciglia: pensare che chi avesse quella paura fosse soltanto una persona faziosa, però, mi sembra riduttivo. Accade lo stesso alla fine del libro: quello che fanno i comunisti è so-li-da-rie-tà mentre quello che fanno i cattolici è “soltanto” ca-ri-tà.

La solidarietà autorale.
Questo è un punto critico: cercando più informazioni e dettagli su questa storia per scrivere la recensione ho trovato il blog di Giovanni Rinaldi che mostra un conflitto(?) sulla citazione delle fonti e sulla solidarietà autorale. In un certo senso, è capitato qualcosa di molto simile a quanto successo con L’origine perduta di Matilde Asensi: la Ardone ha preso molte idee raccontate dagli stessi attori della storia nei documenti prodotti da diversi ricercatori, come per esempio I treni della felicità, libro dello stesso Rinaldi, e soltanto dopo la nona edizione è stata inclusa una bibliografia delle fonti consultate come una specie di riconoscimento verso chi ha lavorato per documentare la storia, la materia stessa con cui è stato fatto questo libro.
Come accennato nella vicenda di Asensi, la creatività è una continua serie di influenze mescolate e riviste, è il risultato di nutrirsi del lavoro e della vita altrui e mescolare tutto questo con la propria visione del mondo. Ma è quantomeno ironico che un libro che cerca di portare alla luce dei fatti storici, per riconoscere la memoria di chi ha creduto nella solidarietà, non porti alla luce anche chi sta lavorando da anni per raccontare questa storia.
Insomma, questo libro a me dà l’impressione di un bellissimo paio di scarpe, di quelle che vanno tanto di moda, con design ultraleggero ed elegante, ma che sono scomode. Le metti per la festa ma le togli per muoverti e camminare altrimenti poi ti vengono delle vesciche. Ma tanto carine, eh, quelle scarpe.

Commenti

Giovanni ha detto…
Grazie, Cecilia.